Reati ambientali e modello 231
Si sente spesso parlare di reati ambientali, ma ancora oggi è difficile configurare tali reati se non affidandosi alla giurisprudenza.
Sono stati fatti grandi passi avanti a partire dall’introduzione della riforma del 2015 e del diritto penale ambientale. Il sistema sanzionatorio che, fino ad allora, prevedeva una semplice sanzione amministrativa nei confronti dei soggetti responsabili di tali condotte è stato ritenuto insostenibile e dannoso, soprattutto considerando la matrice mafiosa della maggior parte dei reati.
In questo articolo, capiremo cosa si intende con il termine “reati ambientali” e quando questi reati oltrepassano, nella pratica, il profilo amministrativo e sfociano nel penale. Scopriremo, inoltre, cosa prevede la normativa e chi è il soggetto preposto al controllo e alla verifica di tali illeciti.
Cos’è l’ambiente nell’ordinamento giuridico e quale ruolo riveste
Possiamo sostenere che, nel panorama normativo italiano, manca una vera e propria nozione giuridica di “ambiente”. Al contrario, invece, possiamo risalire alla definizione di “inquinamento” che, nel D.Lgs 152/2006 (T.U. ambiente), viene indicato come: “l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore o più in generale di agenti fisici o chimici, nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento dei beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi”.
Sebbene i termini “salute umana” e “qualità dell’ambiente” non possano essere definiti beni giuridici contrapposti, il vuoto terminologico lasciato dalla mancata esplicitazione di “ambiente” è stato parzialmente colmato dalla giurisprudenza. In particolare, la sentenza n° 378/2007 della Corte Costituzionale costituisce una pietra miliare nel quadro del diritto ambientale poiché, per la prima volta, al termine ambiente viene attribuito il significato di bene della vita “materiale”. Senza dubbio, con tale deliberazione vengono taciute altresì tutte quelle tesi cosiddette “negazioniste” che, fino a quel momento, definivano erroneamente l’ambiente come bene immateriale o come, addirittura, “paesaggio”.
L’ambiente nei rapporti tra Stato e Regioni
Il dibattito sul tema “ambiente”, almeno per ciò che concerne il suo significato intrinseco e la sua qualificazione nella disciplina normativa, si è ampliato anche sul piano della suddivisione di competenze legislative tra Stato e singole Regioni.
I dubbi riguardavano, principalmente, il fatto che l’ambiente fosse o meno un bene materiale, sollevando un vero e proprio clima di incertezza tra gli addetti ai lavori. Dal canto loro, però, le Regioni hanno sempre rivendicato una competenza trasversale sulla materia “ambiente”, forti anche del supporto di una parte della dottrina.
Tuttavia, nella nota sentenza sopra menzionata (n° 378/2007), la Corte Costituzionale, ha chiarito ogni dubbio affermando che la materia “ambiente” è di competenza esclusiva dello Stato. In particolare, lo ha fatto richiamando il precetto contenuto nell’art. 117, comma 2, lett. s della Carta Fondamentale.
Questo significa che le Regioni non possono né derogare né aggravare il livello di tutela che viene stabilito dalle leggi emanate dallo Stato. Nello specifico, le Regioni possono stabilire le norme di maggior tutela ma, come già anticipato, la divisione delle competenze tra Stato e Regioni si pone come limite invalicabile.
Le Regione, quindi, possono agire normativamente soltanto attraverso interventi configurabili o limitati alle materie di propria competenza (come, ad esempio, un intervento sugli assetti territoriali che tocca, inevitabilmente, anche degli aspetti di natura ambientale).
L’evoluzione della normativa in materia ambientale
Il primo intervento normativo di una certa rilevanza è racchiuso nel D.P.R. 915/82. Tale decreto introduce nel nostro sistema giuridico una disciplina volta a disciplinare e regolamentare lo smaltimento dei rifiuti industriali.
Inoltre, il D.P.R. 915/82 introduce un insieme di norme sanzionatorie per punire tutti quei comportamenti che fino a quel momento hanno danneggiato l’ambiente, quali l’abbandono di rifiuti o l’installazione di discariche abusive. Grazie, ad esempio, a un elenco di illeciti amministrativi e di fattispecie penali, tutte contravvenzionali, è stato possibile sanzionare tali condotte e renderle illecite.
Uno step molto importante è altresì rappresentato dalla legge 349/86, una legge che ha consentito di istituire il Ministero dell’ambiente.
L’intervento che, però, ha stravolto l’intero quadro normativo e su cui vogliamo porre particolare attenzione è stato il D.Lgs. 152/06, il cosiddetto Testo Unico ambientale (T.U.), che ha portato anche all’abrogazione del D.P.R. 915/82. Questo corpus di regole rappresenta un documento completo che consente di intervenire ad ampio raggio, colmando tutti quei vuoti normativi da tempo invocati e che finalmente sono stati ascoltati.
L’introduzione del diritto penale ambientale
Entrando nel merito del profilo penale, è necessario menzionare due importanti introduzioni in materia d’ambiente, in particolare il D.Lgs. 121/2011 e la riforma operata dalla legge 68/2015.
Il primo inserisce i reati ambientali tra i reati presupposto del D.Lgs. 231/2001 (ovvero reati antecedenti alla commissione di un altro reato e possibili illeciti penali dai quali può derivare una differente forma di responsabilità). La seconda, invece, oltre ad introdurre nuove fattispecie penali effettua una riorganizzazione della materia prescrivendo, per la prima volta, l’ingresso dei reati ambientali nel codice penale con il nuovo titolo “IV bis”.
Buona parte delle fattispecie di reato ambientale coincide con reati di pericolo. Di queste, un buon numero è costituito da contravvenzioni e ciò ne determina la punibilità indipendentemente dall’accertamento del dolo.
D’altro canto i reati ambientali, essendo considerati alla stregua delle contravvenzioni, pongono un importante limite che riguarda il regime della prescrizione, più breve rispetto a violazioni dell’ordinamento penale come i delitti.
Come si configura il reato ambientale
Nella maggior parte dei casi di reato ambientale si verifica uno schema ricorrente, che riguarda il modo in cui si configura la condotta criminosa come il superamento dei limiti tabellari imposti dallo Stato (soglie convenzionali), l’esecuzione di un’attività senza previa autorizzazione oppure l’esercizio di un’attività che supera i confini dell’autorizzazione concessa.
Ma nel diritto penale ambientale un ulteriore limite riguarda la sorte del provvedimento amministrativo all’interno del processo penale. In questo caso, il giudice penale ha il potere di disapplicare tale provvedimento. L’atto amministrativo, dunque, va a rappresentare spesso un discrimen tra ciò che è lecito e ciò che, invece, non lo è.
Anche la terminologia stessa usata dal legislatore, a volte non felice, può dare seguito a dei problemi di interpretazione e applicazione della legge. Ad esempio, il reato di inquinamento ambientale (ex art. 452 bis) del codice penale sanziona chiunque agisca “abusivamente”. Eppure, con il termine “abusivamente” la condotta viene attribuita a un parametro piuttosto vago, non collegato ad alcun criterio stabile e inequivocabile.
Pertanto, anche in questo caso, sarà la giurisprudenza ad attribuire al termine il significato più adeguato per il caso che, al momento debito, si troverà ad affrontare e a dare un’interpretazione quanto più chiara, corretta ed equa possibile.
Il diritto penale ambientale e il modello 231
Nel progetto iniziale del D.Lgs. 231/01 rientravano anche i reati ambientali, soprattutto in virtù della spinta comunitaria. Tuttavia, tali reati non vennero inseriti e si dovette attendere qualche anno per assistere, prima, al loro ingresso nell’elenco dei reati presupposto grazie al d.lgs. 121/2011 e, poi, all’estensione dei nuovi reati introdotti dalla riforma del 2015.
Ad oggi, dunque, ogniqualvolta nell’ambito di una società venga commesso uno dei reati ambientali codificati nell’elenco ex art. 25 undecies del D.Lgs.231/2001, automaticamente scatta la responsabilità dell’ente preposto che dovrà andare incontro a un procedimento penale.
Tuttavia, sebbene sia vero che l’accertamento dei reati ambientali presenta i limiti di cui abbiamo già discusso nel paragrafo precedente, è sempre consigliato dotarsi di un modello di organizzazione e gestione idoneo, in grado di scongiurare con certezza qualsiasi sanzione derivante dal procedimento penale alla società.
Come funziona il sistema dei controlli
Per quanto riguarda le verifiche di illeciti, l’organo deputato al controllo è l’ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente), la quale svolge la propria attività in regime di “avvalimento”.
Questo significa che le funzioni di controllo e di vigilanza, in realtà, appartengono all’ente (che può essere il Ministero, la Regione o il Comune) sulla base delle competenze che gli sono attribuite per materia (ad esempio, urbanistica o tutela ambientale).
L’ARPA agisce in modo autonomo esclusivamente nel settore dell’inquinamento elettromagnetico. I suoi ispettori possono operare, in tal caso, in qualità di polizia giudiziaria ma, nella loro attività di verifica e controllo, devono comunque tener conto dell’ente dal quale dipendono.
A causa della sua natura, e talvolta anche della disciplina stessa, una delle difficoltà a cui l’autorità giudiziaria va incontro nel momento in cui deve accertare un reato di tipo ambientale è rappresentata dal nesso causale, ossia dal legame che intercorre tra la condotta e il danno ambientale (l’inquinamento).
Va sottolineato, inoltre, che quando si verifica un’ipotesi di reato ambientale (soprattutto per le fattispecie legate allo smaltimento dei rifiuti), la Procura territoriale è tenuta ad informare la direzione distrettuale antimafia.
Reati ambientali e modello 231: richiedi una consulenza
La maggior parte delle imprese italiane ha adottato un modello di organizzazione che consente di prevenire i reati, anche di tipo ambientale. Parliamo del Modello 231, che risponde alla necessità, di tutte le aziende di tutelare la propria reputazione e il proprio prestigio, nel pieno rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico.
Grazie all’individuazione delle attività e degli ambiti in cui possono essere commessi reati è possibile “mappare” i rischi maggiori e adottare specifici protocolli per regolare e definire la struttura aziendale e per gestire i processi decisionali e produttivi.
Nonostante non sia obbligatorio, il Modello 231 è, ad oggi, lo strumento più utile ed efficace per esimere una società da ogni responsabilità per i reati imputabili ai singoli dipendenti. Tra questi illeciti, rientrano anche i reati ambientali.
Per evitare di incorrere in sanzioni amministrative o penali, è fondamentale effettuare continue verifiche e aggiornare costantemente il Modello 231, prevedendo altresì un sistema di sanzioni che eviti il mancato rispetto delle norme.
Lo Studio Bisconti Avvocati è costituito da un team di professionisti pronti ad assisterti e a guidarti nella corretta redazione e nell’adozione di un modello organizzativo e di gestione che ti consenta di evitare sanzioni per reati di diversa natura, informatica o ambientale, contro la salute o contro la sicurezza sul lavoro.
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