Condizione risolutiva e clausola risolutiva espressa
Con il termine “clausola risolutiva” si indica qualsiasi determinazione che preveda o comunque disciplini la risoluzione degli effetti derivanti dal negozio giuridico. In questo senso, appartengono al novero delle clausole risolutive sia la previsione di una condizione risolutiva in senso tecnico (art. 1353 c.c.), sia l’attribuzione di una facoltà di recesso unilaterale (art. 1373 c.c.).
Condizione risolutiva e sospensiva
La condizione è l’avvenimento futuro ed incerto al quale le parti possono subordinare l’efficacia e la risoluzione di un contratto o di un singolo atto.
Il carattere dell’incertezza dell’evento ha soprattutto il valore di distinguere la condizione dal termine, che è anch’esso futuro, ma certo.
L’evento dedotto in condizione deve essere possibile e lecito.
La condizione è illecita se contraria all’ordine pubblico, al buon costume e a norme imperative, mentre, la condizione è impossibile se l’avvenimento non può verificarsi per ragioni naturali o per ragioni giuridiche.
La fondamentale distinzione, espressamente prevista dal legislatore, è quella tra condizione sospensiva e condizione risolutiva.
Nella condizione sospensiva, l’avvenimento sospendere il sorgere dell’effetto giuridico; nella condizione risolutiva, invece, l’avvenimento fa dipendere l’inefficacia del contratto dal suo avverarsi.
Problema di particolare rilievo è se possa essere dedotto in condizione sospensiva o risolutiva l’adempimento o l’inadempimento.
La condizione sospensiva di adempimento e risolutiva di inadempimento è utilizzata soprattutto nelle compravendite con prezzo dilazionato, al fine di tutelare e garantire il contraente tenuto al trasferimento della proprietà, il quale grazie alla natura reale del fenomeno condizionale, è sicuro di mantenere o riacquistare la proprietà del bene.
La teoria negativa si basa prevalentemente sul rilievo che non può essere oggetto di condizione un elemento quale il pagamento del prezzo, che difetta del requisito dell’accidentalità proprio della condizione.
Inoltre, detta condizione difetterebbe anche dell’elemento dell’incertezza in quanto il pagamento del prezzo è sempre certo sotto il profilo della coercibilità.
La giurisprudenza, invece, ammette la possibilità di dedurre in condizione sospensiva o risolutiva rispettivamente l’adempimento o l’inadempimento. A tale scopo, viene utilizzata la distinzione tra momento programmatico e momento esecutivo nella dinamica del contratto.
Sicché, soltanto per il momento programmatico opera il principio secondo cui la prestazione non può essere assunta in condizione, mentre, il momento esecutivo presenta i caratteri dell’accidentalità, dell’estrinsecità e della futurità tipici della condizione, la quale piò avere ad oggetto l’adempimento o l’inadempimento.
Inoltre, per rispondere all’obiezione secondo cui il creditore vedrebbe peggiorata la sua situazione non potendo chiedere il risarcimento del danno in caso di inadempimento poiché l’avverarsi della condizione elimina dal mondo giuridico il contratto e il mancato avverarsi della stessa fa si che il contratto non sia mai divenuto efficace, può invocarsi la condizione unilaterale.
In particolare, le parti potrebbero inserire nel contratto una condizione sospensiva o risolutiva nell’interesse esclusivo di una sola di esse, con la conseguenza che la parte nel cui interesse è posta la condizione potrà rinunciarvi sia prima che dopo l’avveramento o il mancato avveramento e chiedere il risarcimento del danno.
Clausola risolutiva espressa
Con il termine clausola risolutiva espressa si indica il rimedio straordinario in forza del quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, una parte, di fronte all’inadempimento della controparte, può ottenere la risoluzione del rapporto, prescindendo dalle vie normali mediante un semplice atto di volontà.
Dispone infatti l’art. 1456 c.c. che
i contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra parte che intende valersi della clausola risolutiva.
Come la diffida ad adempiere, a differenza del termine essenziale, la risoluzione del contratto non si verifica automaticamente in seguito all’inadempimento, poiché occorre che la parte interessata dichiari di volersi avvalere della clausola risolutiva; invece, come per il termine essenziale a differenza della diffida ad adempiere, non occorre la valutazione della gravità dell’inadempimento poiché tale gravità è insita nella stessa previsione della clausola risolutiva per l’inadempimento di una determinata prestazione.
Indi, i presupposti dell’istituto sono:
- la stipulazione della clausola;
- il verificarsi dell’inadempimento;
- la dichiarazione di volersi avvalere della clausola.
Differenze tra i due istituti
Quanto alle differenze intercorrenti tra le due figure giuridiche analizzate giova precisare che: la risoluzione del contratto al verificarsi dei predetti presupposti non autorizza l’inquadramento della clausola risolutiva espressa nell’ambito delle condizioni risolutive.
Nello specifico, mentre la condizione risolutiva in senso tecnico produce automaticamente i suoi effetti, la clausola risolutiva ha bisogno di una dichiarazione del creditore e presuppone l’inadempimento.
Inoltre, la condizione risolutiva ha efficacia retroattiva reale cioè si esplica anche di fronte ai terzi, mentre la clausola risolutiva espressa ha efficacia meramente obbligatoria, cioè limitata tra le parti.