Patto commissorio e alienazione a scopo di garanzia
Il patto commissorio è il patto mediante il quale il creditore acquista la titolarità di un bene in caso di inadempimento del debitore, senza che vi sia stata una stima da parte di un terzo.
Per il nostro ordinamento detto patto è nullo in quanto la causa di garanzia non è idonea a giustificare lo spostamento patrimoniale.
Il divieto di patto commissorio trova la sua ragione in diverse situazioni, tra le quali si annovera la condizione in cui un bene non può essere trasferito dal patrimonio del debitore senza l’intervento dell’autorità giudiziaria. Inoltre, esso mira a proteggere l’uguaglianza tra i creditori e a prevenire possibili impatti negativi sulla società. Ciò è dovuto al fatto che i creditori potrebbero essere riluttanti a concedere finanziamenti se non fosse prevista la possibilità di acquisire la titolarità di un bene in caso di inadempimento da parte del debitore.
Infatti, l’art. 2744 del codice civile prevede che
È nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno.
La giurisprudenza, interpretando in modo estensivo il dettato legislativo, ha avuto modo di chiarire che detta norma è una norma di principio e si applica a prescindere dalla circostanza dalla costituzione del pegno o dell’ipoteca; indi, ogni alienazione a scopo di garanzia è nulla.
Nel contesto delle pratiche negoziali tese a indirettamente eludere il precetto dell’articolo 2744 del codice civile, disposizione unanimemente riconosciuta come imperativa, è opportuno evidenziare l’importanza e l’ampia diffusione delle cosiddette c.d. alienazioni a scopo di garanzia.
Si tratta in particolare di situazioni che vengono realizzate attraverso gli strumenti legali previsti dal codice civile, come ad esempio quelli della vendita con patto di riscatto o retrovendita (articoli 1500 e seguenti del c.c.) e della vendita con riserva di proprietà (articoli 1523 e seguenti del c.c.). Tali accordi sono legali in sé e per sé, rientrando nei della normativa predisposta dal legislatore nel 1942. Tuttavia, vengono utilizzati per aggirare la restrizione del patto commissorio ogni volta che la vendita di un bene effettivamente nasconde l’intenzione di trasferire definitivamente il bene al creditore solo in caso di mancato adempimento di un debito.
Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che l’alienazione a scopo di garanzia è ammessa ma solo a certe condizioni.
Occorre che la stipulazione preveda, per il caso ed al momento dell’inadempimento ossia quando si attuerà coattivamente la pretesa creditoria (cfr. art. 1851 c.c.), un procedimento volto alla stima del bene, entro tempi certi e con modalità definite, che assicurino la presenza di una valutazione imparziale, in quanto ancorata a parametri oggettivi automatici, oppure affidata a persona indipendente ed esperta la quale a detti parametri farà riferimento (cfr. art. 1349 c.c.), al fine della corretta determinazione dell’an e del quantum della eventuale differenza da corrispondere all’utilizzatore. La pratica degli affari potrà poi prevedere diverse modalità concrete di stima, purchè siano rispettati detti requisiti. L’essenziale è che risulti, dalla struttura del patto, che le parti abbiano in anticipo previsto che, nella sostanza dell’operazione economica, il debitore perderà eventualmente la proprietà del suo bene per un prezzo giusto, determinato al tempo dell’inadempimento, perchè il surplus gli sarà senz’altro restituito (Cfr., Cass. Civ., Sez. I, 28/01/2015, n. 1625).
Nello specifico, per evitare di imbattere nella nullità del patto occorre prevedere che ove il valore dell’immobile sia superiore al credito, il debitore ha diritto alla restituzione dell’eccedenza e ciò sulla base di una stima fatta da un terzo al momento dell’inadempimento, c.d. patto marciano.
L’alienazione a scopo di garanzia nel Testo Unico Bancario
L’art. 120 quinquiesdecies comma 3 del d.lgs. 1° settembre 1993 n. 385 (T.U.B.) si occupa del rapporto creditorio intercorrente tra consumatore e banche e prevede che:
Fermo quanto previsto dall’art. 2744 c.c., le parti possono convenire con clausola espressa al momento della conclusione del contratto di credito che in caso di inadempimento del consumatore la restituzione o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale o dei proventi della vendita del medesimo bene comporta l’estinzione dell’intero debito a carico del consumatore derivante dal contratto di credito anche se il valore del bene immobile restituito o trasferito ovvero l’ammontare dei proventi della vendita è inferiore al debito residuo. Se il valore dell’immobile come stimato dal perito ovvero l’ammontare di proventi della vendita è superiore al debito residuo, il consumatore ha diritto all’eccedenza.
Tuttavia, ad oggi, il Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero di giustizia, non ha ancora provveduto ad emettere il relativo decreto attuativo.
L’art. 48 bis T.U.B. si occupa, invece, del rapporto creditorio intercorrente tra banche e imprenditore prevedendo che il contratto di finanziamento concluso tra un imprenditore e una banca può essere garantito dal trasferimento in favore del creditore della proprietà di un immobile dell’imprenditore, sospensivamente condizionato all’inadempimento del debitore.
Nello specifico, in caso di inadempimento, il creditore ha diritto di avvalersi degli effetti del patto purché al proprietario sia corrisposta l’eventuale differenza tra il valore di stima del diritto e l’ammontare del debito inadempiuto e delle spese di trasferimento.
Giova precisare che detto trasferimento non può essere convenuto in relazione a immobili adibiti ad abitazione principale del proprietario, del coniuge o di suoi parenti e affini entro il terzo grado.
Qualora il finanziamento sia già garantito da ipoteca, il trasferimento sospensivamente condizionato all’inadempimento, una volta trascritto, prevale sulle trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli eseguite successivamente all’iscrizione ipotecaria.
In particolare, al verificarsi dell’inadempimento di cui all’art. 48 bis comma 5, il creditore è tenuto a notificare al debitore e, se diverso, al titolare del diritto reale immobiliare, nonché a tutti coloro che hanno diritti derivanti da titolo iscritto o trascritto sull’immobile, una dichiarazione di volersi avvalere degli effetti del patto di cui al medesimo comma, precisando l’ammontare del credito per cui si procede.
Decorsi sessanta giorni dalla dichiarazione suddetta, il creditore chiede al presidente del tribunale del luogo nel quale si trova l’immobile la nomina di un perito per la stima, con relazione giurata, del diritto reale immobiliare oggetto del patto.
Entro sessanta giorni dalla nomina il perito comunica la relazione giurata di stima al debitore, al creditore e ai soggetti che vantano diritti sul bene medesimo i quali, entro i successivi dieci giorni, possono inviare note al perito.
Inoltre, il contratto di finanziamento deve contenere l’espressa indicazione del conto corrente bancario sul quale il creditore deve accreditare l’importo pari alla differenza tra il valore di stima e l’ammontare del debito inadempiuto.
In definitiva, alla luce di quanto esposto, deriva che è stata sdoganata la inammissibilità del divieto del patto commissorio e l’alienazione a scopo di garanzia può trovare diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento, ma solo con la cautela del patto marciano, così come confermato dalle disposizioni del T.U.B.