La concessione abusiva del credito tra responsabilità della banca e Codice della Crisi

La concessione abusiva del credito è un tema di grande attualità, come dimostrano i recenti arresti giurisprudenziali che hanno fatto il punto su presupposti e conseguenze di tale fattispecie. Tra questi, si segnala il decreto n. 381/2024 del Tribunale di Napoli, che offre interessanti spunti di riflessione anche alla luce delle novità introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII).

Quando il sostegno finanziario diventa “abusivo”

Si ha concessione abusiva del credito quando una banca eroga finanziamenti (o mantiene linee di fido già in essere) in modo imprudente a favore di un’impresa in stato di dissesto, pur conoscendo – o potendo conoscere con l’ordinaria diligenza – tale situazione di crisi. Così facendo, la banca consente artificiosamente all’impresa insolvente di restare sul mercato, ingenerando nei terzi una falsa apparenza di solvibilità.

Come evidenziato dalla Cassazione nell’ordinanza n. 1387/2023, si tratta di un illecito plurioffensivo, che può danneggiare sia il patrimonio dell’impresa finanziata (per le perdite aggiuntive dovute al ritardo nel manifestarsi della crisi), sia i suoi creditori, per le minori possibilità di soddisfacimento in ambito concorsuale.

Chi può agire contro la banca per “concessione abusiva”?

Un aspetto interessante affrontato dal Tribunale di Napoli riguarda l’individuazione dei soggetti legittimati ad agire in giudizio per far valere la responsabilità della banca che abbia concesso abusivamente credito.

Secondo il Tribunale partenopeo, l’azione di danni non può essere proposta dall’impresa finanziata (né dal suo curatore fallimentare), ma solo dai creditori di quest’ultima che abbiano confidato senza colpa nella solvibilità della società, poi venuta meno anche a causa delle scelte della banca.

Il principio muove dal presupposto che l’impresa sovvenuta, avendo essa stessa richiesto il credito, non possa dirsi estranea alle decisioni assunte dalla banca e dunque non possa pretendere il ristoro di un danno che ha concorso a cagionare.

Solo i terzi creditori, estranei al rapporto di finanziamento, possono invocare la responsabilità dell’istituto di credito, provando che l’incauta concessione di credito ha pregiudicato le loro ragioni.

Concessione abusiva e segnali d’allarme nel Codice della Crisi

Il decreto del Tribunale di Napoli analizza poi l’impatto della riforma della crisi d’impresa sulla valutazione delle condotte delle banche finanziatrici.

Le nuove previsioni in materia di sistemi di allerta (artt. 3 e 12 ss. CCII), individuano alcuni indicatori di crisi (come l’esistenza di rilevanti debiti scaduti), che le banche devono essere in grado di cogliere tempestivamente, traendone le dovute conseguenze sul piano del monitoraggio del credito.

Allo stesso modo, l’art. 4 CCII impone a tutte le parti coinvolte nella ricerca di una soluzione della crisi (ivi comprese le banche), di collaborare secondo buona fede per la salvaguardia della continuità aziendale, astenendosi da condotte opportunistiche o speculative.

Disposizioni che, valorizzando il tempestivo scambio di informazioni sullo stato di salute dell’impresa, impongono anche agli istituti di credito un rinnovato sforzo di diligenza nella prevenzione e gestione delle crisi.

Il difficile equilibrio del “banchiere prudente”

Sullo sfondo, si staglia il delicato ruolo delle banche nel contesto dell’economia e delle dinamiche d’impresa.

Come affermato dalla Cassazione, il confine tra sostegno “meritevole” e “abusivo” passa per una valutazione prognostica sulla ragionevolezza e fattibilità del piano di risanamento dell’impresa, che tenga conto di una pluralità di fattori spesso non totalmente controllabili dalla banca (ordinanza n. 18610/2021).

D’altro canto, l’improvvisa revoca del credito ad un’impresa in difficoltà potrebbe esporla a responsabilità per “interruzione brutale del credito”, vanificandone le chances di risanamento (Cass. n. 16213/2021, n. 17291/2016).

Si tratta di un equilibrismo non facile, che richiede competenza, attenzione ai segnali di crisi, capacità di dialogo con l’impresa finanziata e, non da ultimo, coerenza con i principi di buona fede e solidarietà che permeano la riforma concorsuale.

Conclusioni

In conclusione, il decreto del Tribunale di Napoli offre interessanti spunti su un tema di grande attualità, destinato ad essere sempre più al centro del dibattito con l’entrata a regime del Codice della Crisi.

Spunti che, in linea con la più recente giurisprudenza di legittimità, valorizzano il ruolo centrale delle banche nel garantire non solo la sana e prudente gestione del credito, ma anche la correttezza e tempestività dei segnali che dal sistema bancario si irradiano sul mercato circa lo stato di “salute” delle imprese finanziate.

Un equilibrio non facile, che richiede competenze specialistiche e capacità previsionali, ma che resta cruciale per favorire, ove possibile, il risanamento delle imprese in crisi e la tutela dei valori aziendali, nel rispetto dei diritti dei creditori.

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