Sicurezza sul lavoro, violazione delle norme e reati: l’importanza del Modello 231 
Quello della sicurezza sul lavoro è un tema estremamente rilevante che, in particolar modo negli ultimi tempi, ha acceso i riflettori su tutte quelle aziende che in qualche misura hanno violato la normativa che tutela i lavoratori da infortuni, incidenti mortali e rischi per la propria salute. Anche in relazione all’emergenza sanitaria e ai rischi sul lavoro legati al Covid-19.
A questo proposito, è bene precisare che quando si parla di sicurezza sul lavoro si fa riferimento a un diritto costituzionalmente tutelato che obbliga qualsiasi datore di lavoro all’adozione di una serie di misure di prevenzione e protezione nei confronti dei propri dipendenti. Ogni azienda ha, pertanto, l’obbligo di assicurare ai dipendenti un ambiente sicuro e salubre, esente da pericoli a breve e a lungo termine che riguardano la loro integrità psicofisica.
Tra queste misure ricordiamo, ad esempio, l’utilizzo di presidi antinfortunistici e l’aggiornamento costante dei lavoratori nell’ambito delle tecnologie impiegate e delle misure adottate all’interno dell’azienda. È fondamentale, infatti, che questi siano sempre consapevoli dei rischi e sappiano esattamente come tutelarsi.
In questo articolo, approfondiremo la normativa che regola la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, ponendo particolare attenzione sulla responsabilità delle società e sui reati da esse commessi a seguito della violazione di tale normativa.
In tal senso, vedremo quanto è importante adottare un Modello organizzativo efficace per evitare il rischio di commettere reati e tutelare, quindi, anche la propria azienda.
Cosa si intende con sicurezza sul lavoro?
Con il termine “sicurezza sul lavoro” si intende un insieme di azioni, interne ed esterne all’azienda, che hanno l’obiettivo di garantire l’incolumità e la salute dei lavoratori e del personale presente sul luogo di lavoro.
Tra queste, l’attività più importante è certamente quella legata alla prevenzione, in quanto permette al datore di lavoro di evitare o quantomeno ridurre al minimo l’esposizione dei lavoratori a rischi legati all’attività lavorativa come, ad esempio, fare in modo che non si verifichino infortuni o incidenti o prevenendo eventuali malattie professionali.
Da recenti indagini di settore è emersa l’importanza fondamentale di una corretta politica orientata alla salute dei lavoratori, ma anche di quanto questa possa comportare un sicuro ritorno positivo per l’azienda, sia in termini di aumento del valore dei rapporti umani che di redditività.
Qualunque azienda che abbia anche un singolo dipendente nel proprio organico dovrà pertanto provvedere necessariamente all’adozione di una corretta e preventiva politica di informazione sulla tutela della salute e della sicurezza dei propri dipendenti sul luogo di lavoro.
Le norme sulla tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro
Nella stesura originaria del d.lgs. 231/2001, l’omicidio colposo e le lesioni colpose commesse in violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro non rientravano tra i reati riportati. Potrebbe sembrare insolito, ma il loro ingresso in quest’elenco si deve al successivo riordino della materia in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro ad opera della legge delega 123/2007, sfociata in seguito nel d.lgs. 81/2008, detto anche T.U.S.L. (Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro), ovvero quella normativa specifica che si occupa di regolamentare la Sicurezza sul lavoro in Italia.
Integrando e migliorando le precedenti norme in materia di Tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, il Testo Unico si distingue per una perfezionata razionalizzazione degli argomenti e per l’aggiornamento di alcuni aspetti un po’ troppo generici, tra cui le relative sanzioni previste dal ministero del lavoro.
Data la smisurata ampiezza dell’argomento, in questo articolo ci limiteremo ad approfondire soltanto alcuni dei tratti fondamentali riguardanti la materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, oltre agli aspetti scaturiti in seguito all’ingresso del d.lgs. 231/2001.
Responsabilità di enti e società: fattispecie di reato
Partendo proprio dalle fattispecie di reato inserite nel d.lgs. 231/2001, secondo l’art. 25 septies la responsabilità dell’ente o società coinvolta scatta nel momento in cui, all’interno del suo organigramma, opera il presunto autore dei reati di omicidio colposo e di lesioni personali colpose gravi o gravissime(art. 590 c.p.), commesse in violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
Per fare degli esempi concreti, nel caso in cui si verificasse la morte di un lavoratore oppure la sua menomazione per cause legate alla violazione delle suddette norme, subentrerebbe l’applicazione delle norme del d.lgs. 231/2001, con conseguente avvio di un procedimento penale nei confronti della società del datore di lavoro.
Ma quali sono nello specifico queste norme sulla tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro? Come abbiamo già puntualizzato in precedenza, il corpus normativo in quest’ambito è davvero ampio e complesso, oltre ad avere origini non proprio recenti.
Fonti normative in materia di sicurezza sul lavoro
Le principali fonti normative relative agli obblighi di prevenzione in ambito lavorativo sono tre, in particolare:
- il d.p.r. 1124/1965, o T.U. Inail., intervento che introduce, per la prima volta, l’obbligo di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro;
- il d.lgs. 626/1994, successivamente abrogato e sostituito dal vigente d.lgs. 81/2008, ovvero il cosiddetto Testo Unico sicurezza sui luoghi di lavoro. Il T.U.S.L. è la codificazione unitaria di un processo riformatorio che raccoglie tutte le norme sul tema della prevenzione e della sicurezza sul lavoro. Il testo, oltretutto, è fondamentale poiché rappresenta l’insieme delle linee guida da rispettare per lavorare in sicurezza;
- l’art. 2087 del codice civile, che testualmente recita: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.” Il testo può essere considerato un po’ come la norma madre poiché proprio da questo discende l’intero decalogo degli obblighi di prevenzione a carico del datore di lavoro. Tenendo conto del fatto che l’obbligazione di sicurezza ci appare in qualche modo dinamica, per via della continua evoluzione tecnologica, l’art. 2087 c.c. costituisce una norma che si attualizza automaticamente, adattandosi nel tempo a parametri extragiuridici di carattere tecnico. Inoltre, grazie alla sua ampia funzione prevenzionistica, il datore di lavoro è tenuto a tutelare non soltanto l’integrità fisica del lavoratore, ma anche quella morale.
Altre fonti normative di rilievo
Oltre alle fonti appena riportate, ne esistono anche altre che rivestono comunque un ruolo importante, seppur secondario. Tra queste ricordiamo in particolare:
- l’art. 9 dello Statuto dei lavoratori;
- la legge 838/1978 istitutiva delle U.S.L.;
- varie leggi regionali, nonché i contratti collettivi nazionali di lavoro (C.C.N.L.) che, in quanto norme speciali, possono introdurre esclusivamente precetti migliorativi per le condizioni dei lavoratori, anche più di quanto non facciano già le suddette norme generali, tra cui il T.U.S.L.
In ogni caso, il minimo comun denominatore per tutte le norme citate può essere considerato il bilanciamento tra due principi costituzionali antitetici: la libertà d’iniziativa economica (art. 41) e la tutela dell’integrità fisica (art. 32).
Come attuare il principio della massima sicurezza esigibile
Per il ruolo di centralità che riveste, l’art. 2087 c.c. può essere considerato come l’espressione del cosiddetto “principio della massima sicurezza esigibile”. Secondo la sua interpretazione letterale, l’obbligazione di sicurezza da parte del datore di lavoro può essere ritenuta rispettata e attuata soltanto nel caso in cui quest’ultimo abbia l’interesse di adottare tutte le misure di prevenzione possibili sotto l’aspetto dell’esperienza e della tecnica.
In pratica, nel caso in cui, ad esempio, dovesse verificarsi la morte o l’infortunio di un lavoratore presso un cantiere dove il datore di lavoro ha seguito puntualmente tutte le linee guida contenute nel d.lgs. 81/2008, quest’ultimo rischierebbe comunque di andare incontro a una condanna in sede penale poiché, alla luce dell’art. 2087 c.c., il suo operato potrebbe comunque essere ritenuto insufficiente in termini di sicurezza.
La situazione, stando così le cose, potrebbe rivelarsi davvero preoccupante per i datori di lavoro. E questo perchè il superamento degli standard di sicurezza già previsti dal T.U.S.L. – nell’ottica dell’indeterminata estensione del principio espresso dall’art. 2087 c.c. – potrebbe comportare, nella pratica, uno spropositato aumento dei costi a carico delle società. Queste ultime, infatti, sarebbero costrette, di volta in volta, ad un adeguamento continuo, ma che potrebbe comunque non risultare sempre sufficientemente adeguato.
MOG: l’importanza del Modello 231 in materia di sicurezza sul lavoro
Sebbene l’applicazione delle migliori misure in termini di sicurezza non debba mai essere considerata un costo, quanto piuttosto un investimento, tuttavia sotto questo profilo un valido compromesso potrebbe essere individuato proprio nell’adozione di un idoneo Modello 231.
Il MOG (Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo) non è paragonabile a uno dei tanti documenti, più o meno importanti, da tenere conservati in fondo al cassetto della scrivania. Al contrario, se viene predisposto da professionisti esperti, questo modello potrà racchiudere al suo interno tutti i protocolli di prevenzione idonei a ridurre o eliminare i rischi, senza essere per forza costretti ad affrontare spese di continuo, acquistando ogni sei mesi strumenti di sicurezza sempre più innovativi.
Di certo, l’intento suggerito non è affatto quello di ricorrere a strumenti obsoleti, bensì di colmare quel gap tra le prescrizioni del T.U.S.L. e la massima sicurezza esigibile (ex art. 2087 c.c.), attraverso l’adozione di protocolli di prevenzione che possano incidere sul benessere del lavoratore in senso più ampio intervenendo, ad esempio, sui ritmi di lavoro, l’intensità, le ore e i cicli lavorativi o la formazione aziendale.
Oltretutto, all’interno dello stesso art. 15 del T.U.S.L. è riportata proprio l’importanza di dotarsi di strumenti di riduzione dei rischi, attraverso l’adozione di un modello come il MOG.
Tuttavia, bisogna sempre tenere in considerazione che esistono determinate aree in cui il rischio può essere eliminato del tutto e altre in cui può essere soltanto ridotto. In questi ultimi casi, se non è possibile eliminare completamente ogni rischio, non se ne dovrà certo rispondere penalmente, altrimenti ci troveremmo nel campo della responsabilità oggettiva.
Cos’è la posizione di garanzia e chi la riveste?
Sulla base di quanto detto finora riguardo ai reati presi in esame, sul datore di lavoro ricade quindi un obbligo di sicurezza che deriva, a sua volta, dall’obbligo di impedire che accadano eventi infausti sui luoghi di lavoro, come la morte o eventuali infortuni dei lavoratori.
In virtù di quest’obbligo, il datore di lavoro riveste quella che in gergo tecnico viene definita “posizione di garanzia” nei confronti dei lavoratori, mentre questi ultimi possono essere considerati quali “creditori di sicurezza”.
In riferimento a questo tema, il T.U.S.L., nominato già più volte, ha apportato rilevanti novità con l’introduzione della delega di funzioni (art. 16), ovvero la possibilità di trasferire competenze organizzative e gestionali a soggetti terzi mediante l’individuazione di tutte quelle figure che, all’interno delle società, rivestono posizioni di garanzia (come il preposto, il medico e l’RSPP).
La norma che, tuttavia, si ritiene più innovativa è però quella contenuta nell’art. 299, secondo la quale può rispondere penalmente anche chi svolge “di fatto” funzioni direttive.
In pratica, dunque, non è necessaria un’investitura formale affinché sorga una posizione di garanzia, ma è sufficiente che un determinato soggetto eserciti funzioni corrispondenti a quella determinata posizione di garanzia. La conseguenza sarà, dunque, l’estensione anche a quest’ultimo del relativo trattamento sanzionatorio.
Va precisato, infine, che tutto ciò non può comunque escludere il datore di lavoro delegante dall’obbligo di vigilanza sul delegato, per tutte le funzioni a lui trasferite.
Interesse o vantaggio? Definizioni e differenze tra i due concetti
L’art. 5 del d.lgs. 231/2001 prevede che le società sono tenute a rispondere penalmente quando un reato viene commesso nel loro interesse o vantaggio.
Sebbene oggi sia indiscutibilmente assodato che, in dottrina come in giurisprudenza, i due concetti di “interesse” e “vantaggio” sono diversi, oltre che da prendere in considerazione separatamente, non era esattamente così nei primi anni di vigenza del testo.
La parola fine a questo dibattito risale proprio all’introduzione dei reati colposi commessi con violazione delle norme antinfortunistiche. Infatti, ci si rese immediatamente conto che l’infortunio di un operaio o, peggio ancora, la sua morte non potessero in alcun modo essere ritenuti un vantaggio per una società, ma al contrario che rappresentassero un danno per la stessa. Da quel momento, le valutazioni dei due concetti iniziarono a prendere strade nettamente separate, andando a definirsi sempre più.
Come valutare vantaggi e interessi in caso di reato
Oltre a riguardare esclusivamente la sfera economica, oggi il vantaggio può essere valutabile soltanto a posteriori rispetto alla configurazione del reato. L’interesse, invece, è valutabile a priori e non per forza deve essere riconducibile alla sfera economica. Di conseguenza, non si richiede la possibilità che l’interesse sfoci necessariamente nel vantaggio.
Per quanto riguarda il reato commesso in violazione delle norme antinfortunistiche, appare subito chiaro che debba essere maggiormente preso in considerazione l’interesse anziché il vantaggio. Secondo le interpretazioni più recenti della Corte di Cassazione, come quella a Sezioni Unite, n. 38343/2014, sul caso “Thyssenkrupp”, l’interesse e il vantaggio possono nascondersi inoltre anche dietro il concetto di “risparmio di spesa”.
Questo passo in avanti nell’interpretazione non va assolutamente sottovalutato poiché rappresenta, in qualche modo, una piccola rivoluzione per gli addetti ai lavori.
Sicurezza sul lavoro e MOG 231: richiedi una consulenza
Per concludere, infine, è importante sottolineare che ogni azione volta al risparmio sulla sicurezza, anche al fine di aumentare qualità e quantità della produzione, non è da considerarsi assolutamente come un’opzione corretta, soprattutto se si vuole evitare il rischio che la società possa subire una condanna.
Come abbiamo già detto in precedenza, la soluzione migliore – anche al problema sopracitato – è riconducibile sempre all’adozione di un MOG 231.
I professionisti esperti che si occupano di redigere il testo, infatti, predispongono anche i protocolli necessari per evitare d’incorrere in eventuali sottovalutazioni, come quella relativa al risparmio di spesa sulla sicurezza.
Se hai un’impresa e desideri preservarne la reputazione e verificare, inoltre, l’adeguato adempimento agli obblighi normativi in materia di sicurezza sul lavoro, ti consigliamo di adottare al più presto il Modello organizzativo efficace che ti consenta di prevenire qualsiasi rischio di reato o di violazione della norma. Rivolgiti al nostro Studio, Bisconti Avvocati di Palermo per una consulenza. I nostri professionisti ti guideranno passo passo, dalla valutazione all’elaborazione e all’adozione del modello organizzativo 231 più adatto alla tua realtà aziendale.